ANCHE PER TE, CULTURA VOCALE

"È stato detto che l'attenzione ai problemi della voce è un indicatore affidabile della cultura e della salute di un popolo".                                        

                                                           François Le Huche e André Allali

 Ed è proprio per questa convinzione que nasce questo blog sulla cultura vocale, sulla voce.
 La voce, al di là degli schemi convenzionali, commerciali e classici che restringono il nostro udito e le nostre idee.  Un tentativo, uno spazio per stimolare la curiosità e aprire l´ascolto ad altre voci. Articoli, interviste, video, immagini. Voce ed espressione vocale; voce e identità; voce nell'arte; voce nella storia; voce nella società; voce nella psicoterapia; voce nelle relazioni umane.
 Un invito a sentire la voce, la vostra voce, la voce degli altri, e chi lo sa forse anche per sentire te stesso nella tua propria voce. 
 

 Ma prima di continuare....

lasciami raccontarti qualcosa su di me 

Sono passati più di 30 anni da quando ho iniziato a esplorare con crescente curiosità e passione l'intima connessione tra psiche, emozione, corpo e voce, mossa dal bisogno e dal piacere di cantare. La voce e la sua espressione per scopi artistici e la voce e la sua espressione nelle relazioni umane.

 

Questo percorso ha comportato un lavoro personale profondo e costante.  A livello di formazione formale mi sono laureato in Arte Drammatica, ho lavorato come attore combinando contemporaneamente gli studio de Logopedia en canto classico e successivamente specializzato in Voicework e Voice Movement Therapy© a Londra. Con l'obiettivo di radicare la voce e la sua espressione emotiva nel proprio corpo e nella relazione con l'altro, mi sono formato in Analisi Bioenergetica©, e infine in T.R.E©. (Trauma Releasing Exercises) il che mi ha permesso di accumulare una vasta esperienza come professionista nella gestione della voce e dello stress applicata alle arti dello spettacolo, alla musica, alla comunicazione, alla psicoterapia e alle terapie di espressione, e di costruire un'ampia prospettiva sul confine tra la creazione artistica e la creazione quotidiana della vita personale. 


 

Ho una vasta esperienza como professionista della voce applicata alle arti dello spettacolo, alla musica, alla comunicazione, alla psicoterapia e alle terapie de espressione. Formatore e consulente vocale in diverse produzioni teatrali di Cp. Teatro Ur, CP. Teatro Giovane di  Minsk, 90 Unicornios, Kabia tra gli altri, Vocal Performer con Dan-Te Training, Dance Across Borders e BilbaoVozProject. "Conversaciones en la vieja casa", "La conciencia de la piedra" "Imágenes y palabras". "Aclárate la Voz" rubrica in Artezblai Periódico Digital de las Artes Escénicas, "Yo soy mi voz", "Tapices de Voz" "Homeopatía y Voz"  per il blog medico informativo hablandodehomeopatia. Partecipo all'ultimo libro curato da David Berceli "Shake it off, naturally" con il capitolo "La presencia en la voz" e all'ultimo lavoro editoriale di Jletje Gordon-Lenox "Ritual in Fearful Time: An unexplored Resource for Coping with Trauma" nel capitolo "The Sharp end of mecial care: healing and restoring broken connections through ritual"Sono stato responsabile dell'area di Espressione e Tecnica Vocale nei centri di formazione teatrale dei Paesi Baschi, del Master in Arti dello Spettacolo dell'U.P.V. e dei programmi universitari di Musicoterapia a livello nazionale. Ho organizzato l'implementazione della formazione TRE© in Spagna. Tengo conferenze e workshop su "Impatto vocale, la voce nelle relazioni umane e nella salute", "Libera la tua voce" e "Gestione dello stress" per diverse organizzazioni pubbliche e private (U.P.V., Osakidetza, F.E.D.E.:R, Agintzari, Ume Alaia, Scuola di Musica e Danza di San Sebastian, Istituto Spagnolo di Psicoterapia e psicodramma psicoanalitico, tra gli altri). Attualmente sono l'autrice e l'esecutrice del brano didattico "No más boleros, gracias. Un Canto- Cuento de Vida". 


                  https://nomasbolerosgracias.blogspot.com

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COSA SAREBBE  CULTURA VOCALE? 

ECCO ALCUNE IDEE DEI PIONERI DELLA  TERAPIA PSICOSOMATICA

"La produzione vocale è un fenomeno complesso. È unica per gli esseri umani e caratterizza lo sviluppo della loro coscienza. È attraverso le fasi di sentire, sperimentare e conoscere che si sviluppa la coscienza. La conoscenza è percepita in noi stessi a un livello profondo, ma è espressa in simboli verbali che vengono vocalizzati. Così, la voce è lo strumento della coscienza".                   Pierrakos, 1968, p.8

"...... Una voce ricca è un ricco mezzo di espressione di sé e denota una ricca vita interiore. ...Se una persona vuole riacquistare il suo pieno potenziale di espressione di sé, è importante che ottenga il pieno uso della sua voce in tutti i suoi registri e in tutte le sue sfumature di sentimento. Il blocco di qualsiasi sentimento influenzerà la sua espressione vocale".                               Alexander Lowen, 1975, p.271


"Non c'è bisogno di ascoltare il contenuto.

Il mezzo è il messaggio.

Le tue parole mentono e persuadono

Ma il suono è vero". 

(Fritz Perls, 1969b, p.221) 


IL POTERE DELLA VOCE NEL CANTO E NELLA VITA 

                              Silvana Sandri - Pedagogista - Gestalt Counsellor

Parlare di voce e di canto coinvolge il nostro essere dal profondo. L’origine della voce stessa è il respiro, e per questo parlare di voce e di canto significa anche parlare di vita.
La voce è uno strumento inscindibile del nostro corpo, non possiamo separare il nostro modo di cantare dal modo di parlare, armonizzando e arricchendo l’uno si agisce contemporaneamente sull’altro e viceversa. Il nostro modo di respirare e di regolare il fiato dà senso alla voce, trasmette vibrazioni, rivela le nostre emozioni e intenzioni. E come tutto ciò che è istintivo, rimane nella sfera dell’inconscio, finché non pongo attenzione, finché non attivo intenzionalmente l’ascolto interiore e addestro l’ascolto fisico.
La voce, come la musica, nasce dall’orecchio, dalla percezione dei suoni. La voce, come la conoscenza di sé, emerge dall’auto-ascolto, dalla consapevolezza del vissuto emotivo. L’intonazione, la cadenza, il ritmo, provengono dalle emozioni, dalla sinergia tra queste e il nostro apparato fonetico. Il nostro modo di usare la voce è frutto dell’evoluzione umana ed è progredito nell’imitazione e nell’apprendimento. Pur avendo una base universale che identifica certi suoni in relazione alle specifiche emozioni, crescendo abbiamo imparato a parlare e a cantare ascoltando i nostri modelli primari, i genitori.
Prima ancora del significato delle parole, abbiamo imparato a modificare i suoni spontanei e come esprimerli per la sopravvivenza e per la soddisfazione dei nostri bisogni; così abbiamo appreso che in un certo modo si otteneva più attenzione (per esempio imprimendo più fiato e quindi aumentando il volume), o che in un altro modo si attiravano le carezze e l’accondiscendenza (come prolungando l’emissione delle vocali, piagnucolando), o che in un altro ancora era meglio non esprimersi perché arrivava il dolore.
In breve tempo tutto è divenuto automatico, ma non per questo efficace o privo di sforzo, anzi, in alcune situazioni totalmente controproducente o dannoso. Molte persone hanno sperimentato, per esempio, che un tono di voce infantile e mieloso più che ottenere accoglienza e coccole dal partner, porta spesso irritazione e distanza, se l’intenzione non è esplicita ma manipolatrice; benché con i genitori avesse funzionato. Anche quando avremo padroneggiato l’espressività vocale, una parte di essa resterà comunque insondabile, legata al mondo emotivo e all’inconscio profondo. Ed ecco che, insieme al sentirsi vivi e all’espressione di sé, si è introdotta l’altra valenza fondamentale della voce, la comunicazione con gli altri.
Dopo aver ascoltato il proprio battito cardiaco e il proprio respiro, l’umanità ha ascoltato la propria armonia vocale, e quindi l’ha usata per rimanere in contatto con gli altri suoi simili, per entrare in relazione. Quando si parla e si canta, lo si fa con tutto il corpo, l’emissione di fiato attraverso le corde vocali fa vibrare le ossa, i tessuti, la pelle. Con l’espressione vocale si mettono in correlazione le emozioni provate con i muscoli, con la postura, con le espressioni del viso, con lo sguardo. E queste emozioni vengono alla ribalta, emergono inconsapevolmente, e la voce diventa veicolo inconscio di comunicazione interiore.
Anche le persone più rigide vibrano interiormente, ma fanno nello stesso tempo un enorme sforzo per non assecondare e per nascondere questa vibrazione. Spesso alcune zone del corpo rimangono bloccate e contratte, talvolta ampie zone, come i muscoli del collo o le spalle o addirittura l’addome. E poiché comunque tutto il corpo viene coinvolto in questo lavoro, i blocchi posturali o muscolari dovuti all’eccesso di autocontrollo mostrano agli altri una persona legata, oppure fredda, o distaccata.

Altre volte invece notiamo un eloquio frettoloso, quasi senza pause di respiro, o con frasi che si sfumano nella conclusione, per mancanza di fiato; qui la vibrazione emotiva è fortemente condizionata dal ritmo, mostrando sia distanza dall’ascolto di sé e dallo scambio aperto con l’altro, sia una tensione importante nel torace, per mantenere la velocità del passo, come se la persona avesse sempre il treno o l’autobus che sta per partire.

Qualunque sia la personale emissione vocale, è nella necessità di armonizzarsi e di smussare dannose spigolosità del tono usato per entrare in relazione, che può intervenire il lavoro di Counseling. Anche quando il cliente non ha espresso direttamente la volontà di lavorare sulla propria voce, il suo modo di modularla può diventare uno strumento efficace per aiutarlo a prendere coscienza di sé e delle sue risorse.

Quando il cliente racconta, il Counselor lo ascolta e ne coglie le sfumature vocali e del respiro. Lo osserva, per sintonizzarsi sugli aspetti peculiari della voce, in relazione agli eventi ed alle emozioni espresse, e in correlazione con gli altri messaggi non verbali. E osserva contemporaneamente se stesso, per ascoltare cosa prova di fronte ai messaggi che riceve, astenendosi, il più coscientemente possibile, da preconcetti e classificazioni. Quindi invita la persona ad accorgersi dei frammenti emotivi, a prendere coscienza di uno stato corporeo (tensioni muscolari, espressioni del viso e del corpo, respiro, tono, intercalari ripetitivi) e comincia a utilizzare la voce come una spia per entrare in profondità, come quando si accorda uno strumento musicale.

Il Counselor apre al cliente la possibilità di utilizzare consapevolmente il suono legato a quella emozione, per farglielo esprimere e amplificare, cogliendo insieme nuove forme, sperimentando sensazioni ed emozioni più profonde o diverse. Il Counselor utilizza la propria voce e i propri toni per fare da specchio al cliente, portando un dialogo di voci esteriori ed interiori esplorativo, consapevole e costruttivo.

Nell’arte terapia, la voce diviene canto trasformatore quando interviene la volontà di dare senso al suono, per cui accanto all’emozione e alla sensazione vissuta possono prendere spazio e forma una melodia interiore, un ritmo personale e delle parole, anche accompagnandosi con movimenti del corpo, con una drammatizzazione o con una danza; allora l’intento è quello di lasciare emergere la passione in cui quell’emozione ci trasporta, di entrare liberamente e volutamente in contatto con noi stessi e con gli altri, andando oltre, in un momento di dialogo creativo e unico, rivelato con il canto e con il corpo.

Quest’ultima esperienza diventa ancor più potente e nutriente quando l’espressione si fa corale, quando le vibrazioni si uniscono e, pur restando individuali, si accordano e si fondono in un unico canto di gruppo, dando vita ad una vera sin- fonia.

Il ritmo è vibrazione del cuore, del respiro e dell’essenza. Il suono è espressione dell’armonia e della disarmonia emotiva. Il canto è condivisione dei sentimenti e dei pensieri. Ecco perché cantare ci coinvolge, ci libera e ci apre alla vita.



CULTURA VOCALE: ANTICA CIVILITÀ


Foto: Sitoo

Nell'Antico Egitto, parlando di cultura vocale, dobbiamo riferirci alla sua ultima grande regina, Cleopatra VII (69?-30 a.C.) Sembra che abbia riunito alla sua corte i più noti maestri per coltivare il suo strumento vocale. Come un'attrice, lavorava sulla sua voce per renderla duttile e seducente o imponente, a seconda dei suoi interessi. Diverse fonti citano che riceveva gli ambasciatori parlando loro nella loro lingua e che si esercitava recitando spesso filosofi e poeti.

L'antica Grecia prestava particolare attenzione alla voce parlata, poiché l'oratoria occupava un posto di rilievo nella società. Ad Atene furono istituite diverse scuole in cui un gran numero di alunni educò la propria voce. In queste scuole si praticava l'arte oratoria e allo stesso tempo si prestava grande attenzione alla postura del corpo e all'importanza del gesto per sfumare il discorso. Secondo la retorica classica, il processo consisteva in cinque fasi: l'invenzione, l'analisi del tema e l'organizzazione del discorso; il dispositivo, la disposizione in base a determinati elementi, come il tipo di ascoltatore o la situazione; l'elocuzione, l'oratore doveva trovare una forma verbale adatta; la memoria, doveva memorizzare il discorso; l'azione, la ricerca del massimo effetto; e infine l'elocuzione, la forma vocale più adatta per il discorso, a questo punto del processo lo studente era incoraggiato a rivelare la propria personalità attraverso l'uso della voce. Nella società greca classica era generalmente accettato che l'oratoria fosse un segno di saggezza. Quando si parla di oratoria nel mondo greco, non può mancare Demostene, uno dei più importanti oratori dell'antica Grecia. A quanto pare, Demostene aveva gravi difetti di pronuncia che non facevano ben sperare per il suo futuro di oratore. Frequentò diverse scuole di oratoria e imparò a conoscere le diverse tecniche insegnate e le qualità di un oratore. Si ritirò quindi in riva al mare dove si costruì una capanna. In quel luogo solitario si esercitò con grande costanza negli esercizi di respirazione e fonazione fino a raggiungere il suo obiettivo: diventare il miglior oratore del suo tempo. La leggenda narra che uno degli esercizi consisteva nel parlare con voce potente accanto a un mare agitato, pronunciando parole con un'articolazione esagerata e con la bocca mezza piena di piccole pietre.

Anche l'antica Roma considerava e coltivava la voce. La maggiore influenza sull'oratoria è attribuita a Quintiliano (35-97 d.C.), che divenne il primo insegnante di retorica e che fu incaricato dal governo di correggere la situazione dell'oratoria nelle scuole. Inizialmente si basò sullo stile di Seneca e alla fine scrisse dodici libri sulla teoria della retorica. Ha ideato un programma di formazione che copre tutte le età della persona, dalla prima infanzia al pensionamento in età avanzata. Esistevano diverse tecniche e gli insegnanti venivano formati per trasmettere questi insegnamenti. Gli insegnanti specializzati nella voce sono stati classificati in tre tipi: Vociferarii, Fonasci e Vocalisti. I Vociferarii si concentravano su esercizi che rafforzavano la voce. Il Phonasci ha rafforzato il volume. Infine, i Vocales erano responsabili dell'intonazione, delle modulazioni e del perfezionamento del canto. L'imperatore Nerone (54-68 d.C.), che si considerava un grande poeta e un miglior cantante, era sempre accompagnato da un Fonasci che lo assisteva e lo consigliava affinché nelle sue esibizioni non forzasse o maltrattasse la sua voce "meravigliosa". Ma sembra che l'arte dell'eloquenza sia decaduta contemporaneamente al declino dei valori morali dell'Antica Roma. Sebbene pensassero che l'oratoria potesse civilizzare i popoli barbari, l'ossessione per il denaro e la vita di piacere contribuirono alla degenerazione della disciplina necessaria per costruire un'oratoria di alto livello.

                                                                              Juan Carlos Garaizabal Jorge

CULTURA VOCALE

L'interazione tra le persone viene trasmessa simultaneamente attraverso il contatto visivo, l'espressione del viso, i gesti, il movimento del corpo, la voce e la parola. Nel tentativo di capire cosa qualcuno sta cercando di comunicarci, prestiamo attenzione a tutti i messaggi che ci arrivano attraverso questi canali, per avere un'idea di ciò che la persona sta cercando di trasmetterci e per costruire una comprensione del suo messaggio.

Sebbene i gesti, il contatto visivo, i movimenti e le espressioni facciali diano significato al messaggio, la nostra attenzione tende generalmente a concentrarsi su tutte le informazioni che ci arrivano attraverso il canale orale. Il canale orale è quello più utilizzato quotidianamente dalle persone. Questo canale è costituito da due componenti, quella vocale e quella verbale, ovvero la voce e il parlato. Il parlato si riferisce al discorso verbale, alla scelta del vocabolario e alla sua pronuncia, mentre la voce si riferisce al modo in cui questo discorso verbale viene pronunciato attraverso il tono, il ritmo, il volume, l'intensità. Mentre il canale verbale trasmette l'argomento all'ascoltatore, il canale vocale è quello che trasmette il nostro stato affettivo, fisico e psichico ed è quello che dirà di più sulla personalità dell'interlocutore. Se la persona sta vivendo un qualche tipo di conflitto, i due canali potrebbero mostrare un contrasto chiamato fenomeno dell'incongruenza. Una situazione che abbiamo sperimentato tutti quando, ad esempio, qualcuno ci dice di stare bene mentre la sua voce sembra soffocata dal dolore. Nel caso della malattia mentale queste incongruenze sono presenti in misura elevata. Quanto maggiore è la dissonanza e il contrasto tra il messaggio verbale e quello vocale, tanto maggiore è il conflitto e la frattura nell'integrazione della persona.

C'è però una sfumatura che viene trascurata quando si parla di comunicazione non verbale concentrandosi sulla voce. La sfumatura è che di solito ci si concentra sull'intonazione, sul ritmo, sul volume, ma che dire del timbro e del meccanismo in cui si muove la voce? Che cosa rende una persona vocalmente strutturata in una particolare dimensione laringea e in un particolare meccanismo? I fattori che interagiscono sono molteplici: le dimensioni fisiche della laringe, lo spessore delle pliche vocali, la costituzione fisica, l'ambiente culturale, il patrimonio uditivo e le dinamiche interrelazionali che hanno caratterizzato la storia della persona. Qui entriamo nel campo delle relazioni umane, della cultura e dell'identità vocale, fattori che sono alla base del modo in cui ci esprimiamo attraverso la voce.

Siamo stati tutti bambini e abbiamo avuto come primo mezzo di contatto con l'ambiente la nostra pelle, il nostro sguardo, la voce che ci raggiungeva, i suoni dell'ambiente circostante, e in questo modo ci siamo fatti capire e abbiamo iniziato a esplorare ciò che ci circondava.  In seguito, con la graduale acquisizione del linguaggio, la parola ha preso il primo posto nell'interazione. Dopo tutto, siamo esseri orientati alla neocorteccia. Gli altri canali di interazione, voce, espressione vocale, microgesti facciali, si sono piazzati al secondo posto. Ma tutti noi siamo influenzati dal suono della voce in un modo o nell'altro, dal movimento espressivo della voce di una persona quando interagisce. Tutti noi reagiamo ad essi in misura maggiore o minore, il più delle volte senza nemmeno rendercene conto. Forse a causa di un deficit di ascolto consapevole. Deficit di ascolto attivo. Un ascolto che è basilare per costruire un livello di cultura vocale che ci permetta una sana interazione tra le persone al di là del linguaggio verbale.

                                                                                                                                                                          Juan Carlos Garaizabal Jorge


CULTURA VOCALE, UNA VISIONE PERSONALE

Che cos'è la cultura vocale? Navigando in Internet, abbiamo trovato solo una voce. In una pagina, intitolata "Parlare bene in pubblico", che si riferisce solo alle informazioni necessarie per la cura della voce nel senso della salute vocale per evitare patologie. Importante, sì. Ma andiamo oltre.

Tutti i professionisti con cui ho avuto la fortuna di formarmi (vedi biografia) hanno un denominatore comune: quando parlano della voce, parlano della persona. La voce come parte udibile della psiche, del corpo emotivo, del corpo fisico, del patrimonio musicale, del bagaglio uditivo sociale, della traccia dei primi legami interpersonali. Limitare il concetto di cultura vocale al solo fatto della cura funzionale e fisica è un eufemismo. Immaginiamo che la voce sia un regalo in cui avete investito il vostro tempo per pensarci, cercarla, sceglierla, pagarla e, infine, l'avete avvolta in una bella carta, l'avete portata nelle mani della persona che amate. Ebbene, la nostra voce è come un dono. La creazione della nostra voce coinvolge le nostre viscere, il nostro cuore, la nostra mente, la nostra storia personale, il nostro patrimonio uditivo e la nostra intenzione di raggiungere l'altro, di interagire con l'altro. Attraverso la nostra voce entriamo in contatto con l'altro. Un contatto più profondo di quanto immaginiamo. Ed è qui che, per me, risiede l'essenza della cultura vocale: la cura e la consapevolezza dell'impatto che abbiamo sugli altri attraverso la nostra voce. Entriamo a pieno titolo nell'ambito delle relazioni umane. E mi rendo conto che non vi prestiamo molta attenzione. A volte, se la voce fosse mani, ci troveremmo a graffiare, a martellare le orecchie dell'altro, a lanciarlo come se fosse uno sputo, senza avere la minima consapevolezza di ciò che stiamo facendo.  E non sto dicendo che dobbiamo sembrare come se stessimo camminando sull'ovatta. No. L'ascolto consapevole dell'altro e di noi stessi mentre parliamo ci permetterà di regolare l'interazione e di favorire un'esperienza più proficua per entrambi.   La valutazione della nostra immagine sonora e vocale parlerà di una valutazione della nostra persona. D'altra parte, e non meno importante nel momento dell'interazione con l'altro, bisogna essere consapevoli che, affinché ci sia congruenza nell'atto comunicativo, il messaggio verbale deve essere sostenuto dal messaggio vocale, in modo che ci sia coerenza. ESSERE in un atto di CO-CREAZIONE con l'altro in un quadro di rispetto reciproco. Forse è solo l'utopia di un amante della voce, ma non curiamo, e a volte quasi sorvegliamo, il nostro aspetto fisico, la nostra immagine, le nostre parole, le nostre abitudini sociali? Quindi?!

Se ci rivolgiamo alle arti dello spettacolo, sul palcoscenico spesso sembra che sia sufficiente che il testo venga ascoltato e compreso. Trasposto nella danza, è come se ci accontentassimo di vedere il ballerino che si muove nello spazio senza prestare attenzione ai minimi dettagli del movimento e del gesto. A mio parere, in pochissime produzioni la voce, la presenza vocale, viene rigorosamente coccolata. Questo significa che l'attore viene trascurato. ..... E con questa "filosofia" di lavoro priviamo lo spettatore del piacere dell'ascolto e riduciamo l'esperienza alla mera formalità del sentire. Il teatro non dovrebbe essere un valido riferimento per l'uso della voce in generale e della voce parlata in particolare? Alcuni di voi mi diranno che per i modelli di utilizzo della voce c'è già l'opera o il musical. Ma questo sarebbe un altro argomento.

E se invece entrassimo nel mondo dei giornalisti radiofonici e televisivi? A cosa andiamo incontro? Entrate e ascoltate! Fatemi sapere....

                                                                                                                        Juan Carlos Garaizabal Jorge


PAUL MOSES: LA VOCE DELLA NEUROSI 

 

 

 Primo secolo D.C. A Quintiliano si attribuisce la prima analisi delle qualità della voce. Successivamente, filosofi, medici, artisti e ricercatori provenienti da diversi campi dell'espressione umana hanno contribuito alla comprensione della voce come veicolo profondo e diretto dell'espressione umana. 

 Più vicini nel tempo. Paul Moses (1° aprile 1987 - 7 giugno 1965) ha indagato sul rapporto tra la voce e la neurosi. La neurosi intesa come malattia funzionale del sistema nervoso caratterizzata da instabilità emotiva.

Ma chi era Paul Moses?  Moses, di origine ebraica proveniente dall'Europa occidentale, era un medico chiaramente influenzato dalle ricerche di Sigmund Freud nel campo della psicoanalisi.  Come professore clinico aggiunto presso l'Università di Stanford è stato responsabile della Sezione di Linguaggio e Voce del Dipartimento di Otorinolaringoiatria. La prima presentazione del suo lavoro di ricerca avvenne a Bonn, Germania, nel 1930, nell'ambito della Società internazionale di fonetica sperimentale. Tra il 1942 e il 1965 ha pubblicato un'intera serie di articoli incentrati sul linguaggio, la terapia vocale, la psicologia della voce e le condizioni psicosomatiche che si riflettono nelle disfunzioni vocali.  Nel 1954 pubblicò il libro che dà il titolo a questo articolo, "La voce della neurosi" ( Grune & Sttraton , inc. new York ) 

 

 

Moses iniziò la sua ricerca con un'analisi etimologica della parola "personalità". L'obiettivo era quello di ripercorrere il cammino e arrivare all'origine del rapporto tra la voce e l'essere umano. Il termine "personalità" affonda le sue radici nel latino "persona", parola usata per indicare il bocchino della maschera indossata dagli attori e il "suono della voce che passa attraverso". In seguito, l'uso di "persona" è stato utilizzato per riferirsi a qualsiasi individuo, persona, dando origine alla parola "personalità".  La RAE  ( Reale Accademia Spagnola) definisce la personalità come la "differenza individuale che costituisce ogni persona e la distingue da un'altra".  Nel campo della psicologia, esistono molte definizioni del termine personalità a causa delle diverse scuole e correnti psicologiche esistenti. Forse una delle più complete è quella proposta da José Bermúdez Moreno (1996), "organizzazione relativamente stabile di caratteristiche strutturali e funzionali, innate e acquisite nelle condizioni particolari del loro sviluppo, che costituiscono l'insieme peculiare e definitorio di comportamenti con cui ogni individuo affronta le diverse situazioni". Oggi si è già  persa ogni connessione tra personalità e voce. Paul J. Moses si è dedicato a portare alla coscienza questa intima connessione tra voce ed essere umano attraverso la ricerca scientifica. 

 

Moses sosteneva che "la voce è l'espressione primaria dell'individuo, e anche attraverso la voce si può scoprire solo il modello neurotico" (Moses, 1954, Introduzione, p.1). Spiegò che l'uso neurotico della voce poteva irritare l'apparato vocale e dare origine a disfunzioni organiche, così come le disfunzioni organiche potevano dare origine alla neurosi. Si rese anche conto che la voce dava segnali su come doveva essere interpretato il discorso verbale. Cioè, il modo in cui viene pronunciato il discorso verbale indica il significato di ciò che viene detto. Quando riceviamo un messaggio orale, in cui l'espressione vocale e quella verbale si contraddicono, ci troviamo di fronte a un'incongruenza ed è molto probabile che l'espressione vocale sia più vicina alla realtà della persona rispetto al discorso verbale.  D'altra parte, è stato osservato che se un bambino riceve, nel seno di un legame primario, un numero elevato di messaggi incongruenti tra il messaggio vocale e quello verbale, la confusione e il disorientamento che genera internamente possono porre le basi per una futura schizofrenia ("The Singing Cure" Paul Newham. Rider Books) Moses sosteneva che in queste discrepanze tra il messaggio vocale e quello verbale si possono trovare gli indizi per individuare le parti neurotiche di un paziente in psicoterapia.  Questi messaggi contraddittori tra messaggio verbale e vocale mostrano una porta aperta alla nevrosi del paziente. "La neurosi del paziente è un tentativo infruttuoso di risolvere un problema nel presente attraverso un modello di comportamento che non lo ha risolto in passato" (Moses, 1954, p.81).  "Gli effetti emotivi sulla respirazione sono ben noti: ...... cambiano la respirazione .... ma il ricordo delle emozioni fa la stessa cosa" (Moses, 1954, p.32).   

Moses ipotizzò che un sintomo neurotico fosse un fallimento nel tentativo di controllare l'ambiente interno ed esterno del paziente. Egli sosteneva che il rilascio della tensione accumulata dagli eventi della vita della persona ripristina l'omeostasi. E con questa idea ha gettato le basi per porre la voce come veicolo, come chiave di cambiamento per raggiungere questo equilibrio nella persona. 

 

Il lavoro di Moses è stato determinante nel portare i principi della psicoanalisi e della psicologia analitica nel trattamento dei disturbi della voce. Ha fatto sì che medici, logopedisti e terapisti prestassero maggiore attenzione alle possibili cause psicologiche delle disfunzioni vocali. Allo stesso tempo, un suo contemporaneo Alfred Wolfsohn, esplorò il potenziale psicoterapeutico dell'espressione vocale cantata con risultati impressionanti. Wolfsohn essenzializzò il suo approccio in un'unica frase: "Io sono la mia voce". Queste due personalità della ricerca vocale hanno dato il via allo sviluppo di approcci psicoterapeutici che utilizzano l'espressione vocale come mezzo principale attraverso il quale il cliente comunica il proprio mondo interiore. Ad esempio,  Voice Movement Therapy fondata da Paul Newham e la psicoterapia vocale sviluppata da Diane Austin.

Juan Carlos Garaizabal Jorge

ALFRED WOFSOHN: IO SONO LA MIA VOCE

Nell'articolo precedente ho citato Alfred Wolfsohn.  Il percorso di vita di questa personalità fondamentale per la ricerca vocale ha dato origine a quello che sarebbe poi diventato il tratto distintivo del Roy Hart Theater. La sua eredità e la sua fertilità creativa nell'area dell'espressione vocale hanno aperto nuove strade nello sviluppo del teatro, della musica e delle scienze umane. La sua figura merita un viaggio nella sua storia. Venite con me. 

Alfred Wolfsohn è nato  in 1896 a Berlino da una famiglia ebraica. È cresciuto timido, fantasioso e solitario. Scoppia la Prima Guerra Mondiale e viene chiamato alle armi all'età di diciotto anni. Si unì alla squadra medica in prima linea nelle trincee. Inorridito dalle terribili scene in trincea, c'è qualcosa che soprattutto rimane impresso nella sua memoria, nella sua mente, nel suo corpo: le voci dei soldati feriti. Voci che si spingevano a estremi agghiaccianti. 

 

 

Nel 1917, Wolfsohn viene colpito da una granata sotto un pesante bombardamento. Dopo quasi venti ore di agonia, durante le quali strisciava e cercava di non annegare nel fango, sentì la voce di un altro soldato che implorava instancabilmente aiuto. Lotta con se stesso e prende una decisione: non aiutarlo.

Distrutto nel corpo e nell'anima, tornò alla vita civile, soffrendo di quello che divenne noto come shock da granata dopo la Prima Guerra Mondiale. L'anno successivo la sua malattia si aggrava e comincia ad avere allucinazioni uditive; tornano sempre i suoni impressionanti delle voci penetranti che aveva sentito durante gli anni in trincea.

Dentro di sé non ha dubbi. La sua malattia è nata da un senso di colpa. Razionalmente sa che se avesse aiutato quel soldato sarebbe morto, emotivamente non ha la convinzione di accettare che non avrebbe potuto salvarlo. Una dissonanza tra ragione ed emozione che lo priva della pace. Questa dissonanza sarà in seguito la chiave per lo sviluppo della sua tecnica vocale.

 

 

Non trova sollievo attraverso le cure psichiatriche e Wolfsohn inizia il suo viaggio alla ricerca di una via d'uscita dalla malattia. Il suo processo di guarigione è iniziato con le lezioni di canto. Un elemento fondamentale del suo processo di guarigione e della sua ricerca è stato l'incontro con il concetto di abreazione, coniato da Sigmund Freud: "L'abreazione è un metodo per prendere coscienza delle reazioni emotive represse raccontando e rivivendo un'esperienza traumatica". Freud riteneva che se la reazione del paziente non fosse stata sufficientemente attiva ed emotiva, i contenuti emotivi associati all'evento sarebbero rimasti "strangolati" o "bloccati" e si sarebbero manifestati somaticamente nel paziente: il recupero del ricordo traumatico senza il coinvolgimento dell'emozione originaria non portava quasi ad alcun risultato e richiedeva che il paziente rivivesse l'episodio con la stessa intensità con cui lo aveva originato e che esplorasse tutti gli aspetti associati all'evento traumatico. Ciò significa che la guarigione non si ottiene solo attraverso le parole, ma anche attraverso la voce, che deve esprimere il livello emotivo dell'esperienza traumatica.

 

A partire da questa teoria, Wolfsohn formula l'idea che se potesse riprodurre con la propria voce le voci che ha sentito, troverebbe uno sfogo per le emozioni che sono rimaste stagnanti dentro di lui. Trova un insegnante che gli permette di "cantare" la sua agonia, e altri che non vanno oltre l'asettico esercizio con le scale. Tuttavia, continua a non essere in grado di esprimersi vocalmente come ritiene possibile e continua a non dare pieno sollievo alla sua sofferenza. Lungi dal biasimare i suoi insegnanti, Wolfsohn ritiene che ci debba essere un modo più dinamico di usare la voce e di esplorarne le possibilità. Così inizia a guardare nella propria voce. Si allena ogni giorno per andare un po' più in alto e un po' più in basso nella tessitura. Immerso nella sua ricerca, non solo trova sollievo alla sua sofferenza, ma la sua voce supera già gli estremi del pianoforte. Cominciò a ricevere studenti di canto classificati come "casi senza speranza". Persone la cui voce ha subito un grave deterioramento insieme a danni psicologici dopo un evento traumatico.

 

Continuando la sua esplorazione con gli allievi, Wolfsohn scoprì che non si potevano fare progressi nella funzionalità e nell'espressione della voce se non si dava spazio alla ferita emotiva. E nemmeno a livello emotivo hanno recuperato forza e fiducia in sé stessi.

Le sue ricerche lo portano a studiare le teorie di Carl Jung, psichiatra, psicologo e saggista svizzero, fondatore della scuola di psicologia analitica. Jung sosteneva che concetti come archetipo, complesso, ombra, animus, anima non solo erano visibili, ma potevano anche essere espressi vocalmente. Wolfsohn iniziò a costruire l'idea che l'integrazione della personalità potesse essere raggiunta attraverso l'esplorazione vocale e si manifestasse nella voce umana.

 

Aveva appena iniziato ad articolare le sue teorie sulla base della pratica quotidiana quando nel 1938 dovette fuggire dalla Germania nazista. Con l'aiuto di un allievo, si trasferisce a Londra. Dopo la Seconda guerra mondiale riunisce un gruppo di allievi nel suo studio londinese per lavorare con loro sui suoni articolati non verbalmente.  Sviluppa un mezzo di espressione per l'intera gamma di immagini, stati d'animo, idee, istinti e personaggi che appaiono visivamente nei suoi sogni.  Il percorso intrapreso è parallelo a quello avviato da Carl Jung che, inizialmente interessato al rapporto tra voce umana e psiche, finisce per abbandonarlo a favore dell'espressione visiva e linguistica.

 

Il concetto di ombra è di estremo interesse per Wolfsohn: "Aspetti nascosti e inconsci, sia positivi che negativi, che l'ego ha represso o non ha mai riconosciuto". Egli nota che la maggior parte delle immagini che dominano la mente dei suoi studenti sembrano essere di natura animale o oscura. Il suo metodo di formazione prevede l'emissione di voci che possono risultare grottesche, sgradevoli, inammissibili nell'estetica musicale dell'epoca. Sfumature vocali che un insegnante di canto classico rifiuterebbe. Nascono differenze e scontri tra la filosofia vocale di Wolfsohn e la formazione vocale prevalente nella cultura occidentale dell'epoca, guidata dallo stile e dall'estetica del canto classico. Differenze e scontri che persistono ancora oggi. Ciò che era importante per l'approccio pedagogico di Wolfsohn non era la "bellezza" della voce, ma l'umanità della voce. L'importante era ciò che veniva espresso dalla voce.

 

Al gruppo di studenti si unì un giovane attore che, sebbene stesse iniziando a farsi un nome sulla scena teatrale londinese, non era soddisfatto della direzione che stava prendendo la sua carriera, Roy Hart.  Dopo la morte di Wolfsohn, nel 1962, fu Hart a riprendere il lavoro e a continuarlo, ma con alcune differenze sostanziali, come vedremo.  Entrambi si sono avvicinati alla voce, non come mero esercizio artistico fisico, ma come consapevolezza di avere la possibilità di riconoscersi e di integrare gli aspetti nascosti della psiche nel conscio, facilitando la trasformazione della persona.  Hart ridefinisce il verbo cantare come "la volontà della persona di dare, offrire, regalare tutte le voci che è in grado di produrre; alte, basse, forti, morbide, gemiti, risate, cinguettii". Wolfsohn scopre che molti suoni sono prodotti non solo dalla laringe, ma da diverse parti del corpo - centri energetici distribuiti nella testa, nel petto e nello stomaco, che a loro volta risuonano in tutto il corpo.  Egli sostiene e dimostra che la voce umana può essere compresa oltre le sette ottave e che limitarla a un'area specializzata come quella del tenore o del soprano è artificiale.  Specializzazioni che erano un modo di essere della voce e della persona che corrispondeva più alle esigenze dei compositori e dei canoni estetici culturali che a una libera manifestazione di tutta la persona.  "L'uomo ha elevato a dogma questa aggressione alla libera natura dell'uomo. Un dogma che confina ordinatamente l'essere umano in categorie: una voce maschile o femminile, una voce alta o bassa, una voce da bambino o da adulto. In realtà, la voce umana naturale comprende tutte queste categorie e registri".

 

Carl Jung: "Il sesso di una persona è determinato da una maggioranza di geni maschili o femminili. Ma la minoranza di geni appartenenti all'altro sesso non scompare. La figura femminile nell'uomo si chiama anima e il suo contrario nella donna, animus." Grazie a un'accurata formazione vocale in termini di concentrazione e intensità, gli studenti - di entrambi i sessi - si esprimono con le loro voci che vanno dalla gamma dei bassi a quella dei soprani. Collocando questa dualità vocale all'interno di un contesto psicologico, Wolfsohn permette ai suoi studenti di dare voce a ciò che Carl Jung chiamava anima e animus.

 

Giornalisti, musicisti, medici, psichiatri, celebrità sono invitati a testimoniare, giudicare e mettere in discussione l'opera. Vengono pubblicati innumerevoli articoli. Sono state sollevate opinioni che sospettavano che l'allenamento vocale proposto da Wolfsohn dovesse produrre un qualche tipo di danno fisico alla laringe, che dovesse essere impossibile per gli allievi raggiungere quello sviluppo vocale senza danneggiare l'apparato vocale. Nel 1956, Jenny Johnson, una giovane allieva, si lasciò esaminare la sua voce dal professor Luchinger della Clinica otorinolaringoiatrica di Zurigo utilizzando raggi X, stroboscopia e riprese ad alta velocità. L'esame medico della voce di Johnson dal vivo conferma una gamma di cinque ottave e sei toni da C (65 c/s) a F4 (2960 c/s).  La sua voce registrata in studio raggiunge come nota più alta un A4. Luchinger non riscontra alcuna anomalia nella laringe e osserva addirittura come, nonostante il grande sforzo mentale di concentrazione per raggiungere le note più alte, la laringe rimanga rilassata. La convinzione più profonda di Wolfsohn fu confermata: l'estensione della voce non dipende dal virtuosismo fisico o da qualche peculiarità anatomica, ma dall'indagine costante dell'espressione vocale di immagini ed emozioni.  La via principale era quella psicologica, l'allenamento fisico aveva un ruolo secondario.

 

Nel febbraio 1962 Wolfsohn morì dopo una lunga convalescenza. Roy Hart ha assunto la direzione del lavoro vocale. Di origine sudafricana con studi in inglese e psicologia e formatosi alla Royal Academy of Drama di Londra, Hart, insieme a un gruppo di attori allievi di Wolfsohn, fondò il Roy Hart Theatre.  Nella continuità del lavoro vocale c'è una sostanziale differenza di priorità. "Nessun problema personale è stato lasciato in sospeso. Ma l'obiettivo non era tanto quello di risolvere il problema o di 'curare' una persona, quanto quello di ravvivare le possibilità creative e artistiche di ognuno di noi, che molto spesso davano una risposta al cosiddetto problema". "L'idea di una voce a otto ottave che ci era venuta attraverso il bisogno psicologico di un uomo di trovare risposte sulla propria voce e che aveva sviluppato uno strumento terapeutico/artistico - rendendo udibile la possibile integrazione della personalità - ha preso una piega nelle nostre mani ed è diventata uno strumento artistico/terapeutico".  "Questo è un punto di differenza molto sottile perché lavorando con la voce come facciamo noi e insegnando a qualcuno a scoprire o sviluppare la propria voce, è impossibile non toccare forze psichiche che devono essere comprese e spesso devono essere con loro, viste ed elaborate" (Marita Günter).

 

Vorrei concludere questo rapido sguardo sulla vita di Wolfsohn e sull'eredità che ci ha lasciato, con alcune parole di Marita Günter, amica personale, allieva dal 1949 ed esecutrice dei manoscritti ancora conservati "Se dovessi riassumere ciò che ho imparato da lui, sarebbe la sua capacità di amare la vita, di rimanere giovane e comunicativo".

Per coloro che sono interessati a una biografia più approfondita di Wolfsohn, consiglio questi libri: "The Prophet of de Song" e " The Singing Cure"  di Paul Newham di Paul Newham e "Dark Voices" di Noah Pikes.

 

Juan Carlos Garaizabal Jorge

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